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Ricordo di Carlo Bergonzi

  • Andato in onda:21/07/2016
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      Ricordo di Carlo Bergonzi

       (Vidalenzo di Polesine Parmense, 13 luglio 1924 – Milano, 25 luglio 2014)
        

      Radio 8 Opera ricorda il grande tenore Carlo Bergonzi, uno dei più autorevoli interpreti del repertorio verdiano, scomparso il 25 luglio 2014.

      "Forse è arrivato il Radames che sognava Verdi", scriveva nel ‘56 il 'New York Times' dopo il debutto al  Met di Carlo Bergonzi  in Aida:  un autentico trionfo di critica e di pubblico.

      Sebbene il repertorio del tenore parmense spaziasse da Monteverdi a Catalani, il compositore che più si addiceva alle sue caratteristiche tecniche e interpretative era sicuramente Giuseppe Verdi:  definito il "tenore verdiano del secolo" fu l'unico interprete ad avere all'attivo nella propria discografia tutte le 31 arie verdiane per tenore.

      Come espose esaurientemente il critico Giovanni Gavazzeni sul ‘Giornale’, “Vi sono ragioni prettamente stilistiche che hanno reso Verdi e Bergonzi un binomio indissolubile. A partire dal modo di cantare: sano, aperto, schietto, frutto di una tecnica di fiati e di una sapienza nel far girare i suoni che è diventata modello. Altro fattore non meno decisivo la dizione: scolpita, articolata in un declamato non retorico, il più possibile «naturale». Bergonzi faceva parte di quell'eletta schiera di interpreti dei quali non si ammiravano soltanto i «pezzi chiusi» (le arie o le cabalette), ma tutto, recitativi compresi, affinché la definizione del personaggio fosse la più completa possibile. Non si può dimenticare il recitativo sublime, «Oh fede negar potessi», che precede la famosa aria «Quando le sere al placido» della Luisa Miller.

      Radames, Don Carlo, Manrico, Alfredo, il duca di Mantova, Ernani, Otello: Carlo Bergonzi ha cantato al fianco delle più raffinate voci liriche del '900, come Maria Callas, Renata Tebaldi, Leontyne Price, Montserrat Caballé, sotto la direzione dei più grandi, da Herbert Von Karajan a Riccardo Muti, nei maggiori teatri lirici del mondo.  

      La voce dal colore brunito e corposo lo fece debuttare come baritono, poi nel 1950, in una pausa della Madama Butterfly a Livorno "tirò” per gioco un Do sovracuto: fu una folgorazione che lo persuase, scrive il critico Paolo Isotta, ad applicarsi da solo alla conquista della completa estensione tenorile e al definitivo cambio di registro.

      Bergonzi fu un artista che, in un certo senso, è andato controcorrente. Dal 1950 sino al 1965 i tenori italiani più famosi (Di Stefano, Del Monaco, Corelli) erano perfetti rappresentanti di un’Italia che usciva da una guerra spaventosa e si affacciava speranzosa al grande banchetto del boom economico. Pur così peculiari e tanto diversi tra loro, questi artisti esprimevano un’estroversione, una solarità, un vigore che descriveva bene lo stato psicologico di “ricostruzione” che caratterizzava quegli anni. Carlo Bergonzi, invece, pur avendo i mezzi vocali (ben testimoniati in alcuni live dell’epoca) per percorrere la stessa strada, preferì un canto più sorvegliato, intimo, più attento alle indicazioni dei compositori: un tenore che, per certi versi, veniva dal passato e cantava in un’atmosfera sospesa nel tempo.

      Carlo Bergonzi è stato anche un uomo schietto, semplice, figlio d’una terra che ha prodotto alcune delle più belle e importanti voci di sempre e alla sua terra è rimasto legato con un costante affetto atavico. A Radio 8 Opera piace ricordarlo così, riascoltando la sua voce in esecuzioni che abbracciano un lasso temporale di 15 anni, dal 1951 dei Due Foscari con Giangiacomo Guelfi e la direzione di un giovane Carlo Maria Giulini alla RAI di Milano, al 1966 del memorabile Trovatore con Antonietta Stella e Piero Cappucilli e la direzione di Arturo Basile sempre alla RAI di Milano, passando per la straordinaria Boheme pucciniana del 1959 con Renata Tebaldi e Tullio Serafin a Santa Cecilia.

      Per questo e per tutto ciò che egli ci ha donato, noi infine non possiamo che dire ‘’grazie’’.

       

      Angelo Procino

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